Nonostante le numerose difficoltà di comunicazione relazionale, lamentate ancor prima del distanziamento sociale tuttora in corso, è ancora rilevabile l’enorme pregiudizio storico sulla “serietà” dei siti di incontri, che poi altro non sono che gli eredi telematici delle ormai datate “agenzie matrimoniali” di un tempo, neanche poi così tanto remoto.
I matrimoni combinati
Chi non ricorda, infatti, i casi in cui le direttamente famiglie combinavano matrimoni mediante agenzia per parenti rimasti “scapolo” o “zitella” e così fugare il timore che la loro incapacità di reperire l’anima gemella attraverso normali relazioni sociali potesse indicare qualche anomalìa o addirittura malattia, col rischio di danneggiare l’immagine della stirpe?
La verità è che – al di là dell’attitudine individuale o meno “a metter su famiglia” – è diminuito l’approccio al matrimonio (che non corrisponde più alla “sistemazione” di un tempo) ma è aumentato il bisogno di “amore” inteso come progetto di condivisione dei piaceri della vita in una dimensione che ci ha tutti relegati in semplici contenitori di informazioni e di scambi commerciali.
L’amore mancante
L’”amore mancante” del consumatore medio libero, inteso come stato emotivo vero e proprio, è invece prepotentemente tornato di moda: relegato per anni nell’angolo del dimenticatoio per lasciare spazio alla più utile autodeterminazione individuale e individualista, viene riscoperto come esigenza interiore, spesso legato ad un desiderio di vita in comune che ricomprenda anche una sessualità più vera e orientata verso l’onesta monogamìa, anch’essa riscoperta dopo decenni di “libertà di libertinaggio” per tutti i sessi.
Incontri in rete
La rete offre una incredibile pluralità di occasioni per incontrare il possibile partner ideale e la strada della chat – se utilizzata con prudenza per evitare le truffe sentimentali di cui ad un mio precedente articolo – è la via più agevole per favorire un primo contatto che, in caso di incontro fisico tramite il solito aperitivo, caffè in centro o passeggiata culturale, favorisce una prima selezione che potrebbe rivelarsi molto utile per comprendere se la tipologia di persona desiderata abbia il maggior numero di corrispondenze con le proprie sospirate aspettative sentimentali.
Con le abitudini telematiche rafforzate ormai acquisite da tutti, è infatti più agevole valutare preventivamente i possibili segnali del corpo attraverso lo sfioramento virtuale delle corde sensibili grazie all’uso grammatica scritta, delle lingue diverse dall’italiano (compresi il latino e il greco), dei richiami culturali o popolari, dell’effetto comico o patetico, delle passioni musicali, cinematografiche, teatrali, artistiche, sportive e così via dicendo.
Sono tutte facilitazioni, queste, volte a raggiungere più velocemente possibile il solito obiettivo che è quello di individuare un abbinamento emotivo reciproco anche inconscio, volto ad un promettente consenso in sintonia con l’obiettivo prefissato: il grande amore.
L’amore tardivo
Pare che l’amore tardivo, poi, sia considerato il più promettente: libero dalle tensioni giovanili condite di aspettative familiari (del tipo: voglio avere figli oppure no? voglio vivere stabilmente nello stesso posto oppure no?) e professionali (del tipo: voglio fare carriera in quell’azienda oppure no? voglio guadagnare sempre di più oppure no? Voglio il posto fisso che è più sicuro oppure no?), riserva sorprese meravigliose e (soprattutto) spontanee perché ormai la vita è entrata in una fase in cui non ci si deve più preoccupare per quel che doveva o poteva essere fatto perché ormai “è già stato fatto”.
Dating, chat e app
Dunque, dallo sbrigativo dating , alla pettegola chat , alle veloci apps fino ai veri e propri siti per incontri amorosi, ce n’è davvero per tutti; questi ultimi sono anche dotati di squadre organizzative di esperti in dinamiche relazionali che aiuterebbero gli utenti a migliorarsi sul piano personale ed evitare ulteriori delusioni sentimentali.
Tuttavia, c’è ancora qualcosa che non va
In primo luogo, il sistema di ricerca on line dell’anima gemella tende a meccanicizzare i vecchi ma insuperati incontri casuali caratterizzati dal romanticismo del primo sguardo e dell’intramontabile “colpo di fulmine” che – da sempre – ha dato seguito ad un numero impressionante di matrimoni riuscitissimi; difficile rinunciare a tali accadimenti possibili tra gli scaffali del supermercato o della biblioteca, tra insulti nella rabbia del traffico metropolitano, tra occhiate nel relax del vernissage o del silenzioso museo, ma soprattutto tra lacrime nei luoghi di culto, come accadde a Giulio Andreotti che dichiarò di aver conosciuto sua moglie Livia al cimitero e secondo l’ineffabile suggerimento di Lina Sotis che, in uno dei suoi proverbiali galatei degli anni ottanta, indicava il funerale come il miglior evento “per rimorchiare”, dato che “ non seve l’invito, bastano l’abito scuro e la faccia da circostanza, occorre soltanto chiedere agli astanti chi fosse il caro estinto per poi garbatamente andare a fare le condoglianze ”. Tragicomico ma vero.
In secondo luogo, ancora si percepisce la vergogna personale preponderante nel dichiarare di aver utilizzato questi sistemi, come se si trattasse di un colpo di mannaia alla propria autostima; a meno che non si abbia una natura esibizionista o una attitudine a non celare il pudore dei sentimenti come nel caso Sharon Stone che sta facendo uso senza segreti della app di incontri Bumble ; va detto infatti che a suo tempo (sei mesi fa) anche lo stesso gestore dell’applicazione, a cui la stessa fa tuttora ricorso, non volle credere all’identità della bellissima attrice ultrasessantenne più sexy del mondo che, ciononostante, vorrebbe un amore stabile e si facilita le ricerche in questo modo, peraltro aggiornando periodicamente i suoi fans via Twitter sui risultati ottenuti o meno.
Ma allora come chiudere sull’argomento?
Lasciando libera fantasia su tre grandi interrogativi, sempre aperti e tuttavia anche tra essi contraddittori: il primo è “ma se ai siti di incontri non credono nemmeno i loro organizzatori, come potrebbero crederci gli utenti?”; il secondo è: “ma il grande amore è sopravalutato oppure indica una carenza affettiva generalizzata a livello mondiale?”; il terzo è “ma se è vero che nella vita è necessario amare innanzitutto sé stessi, come si fa a lasciare posto all’amore per qualcun altro?”
Sono sempre più diffuse le condanne virtuali senza nessun vero processo e certezza del reato.
Possono i Social e il Web decretare una molestia sessuale senza che vi sia un processo reale e delle prove di colpevolezza concrete?
Soprattutto dopo il fenomeno del #metoo , che un paio di anni fa ha infiammato le cronache per molte settimane e che vide condannare molestatori seriali che, per anni, avevano abusato sessualmente di attrici, accade oggi che, con periodicità ormai quasi regolare, qualche vip riceva le stesse accuse da parte di collaboratori.
Questi ultimi, dopo aver subìto per lungo tempo illeciti trattamenti di questo tipo, decidono di allearsi per demolirlo.
#Metoo e la condanna di Harvey Weinstein
La condanna di Harvey Weinstein a 23 anni di carcere per abusi sessuali commessi nel corso degli anni (anche risalenti) fu determinata infatti da una serie di “dichiarazioni” a catena di analogo contenuto da parte di note dive dello spettacolo.
Le attrici, a seguito delle dichiarazioni della prima, si susseguirono per sostenerla, per darne conferma e raccontare poi a loro volta di aver subìto lo stesso trattamento da costui. Spesso anche con dovizia di particolari spesso inquietanti.
I mezzi di comunicazione hanno ha favorito la diffusione della notizia, che comunque meritava le indagini del caso. Hanno generato poi questo gruppo spontaneo di opinione ove le donne sostenevano le attici “confesse” per aver finalmente denunciato personalmente l’assurda modalità maschilista ancora troppo diffusa di “dare per scontata” la prestazione sessuale nel campo del lavoro artistico.
Essa è stata contrapposta a uomini che hanno messo in discussione anche i limiti di liceità del corteggiamento, scatenando una vera e propria guerra tra sessi attraverso i social networks.
Quando la molestia sessuale è decretata dai Social
Tuttavia, va anche detto che, come purtroppo spesso accade, dette circolazioni di notizie sono esageratamente propagate nel web. E così accade che favoriscano la speculazione economica di chi intende maturare danaro da illeciti risarcimenti laddove invece la prestazione sessuale è avvenuta col consenso di entrambi.
Stavolta, sotto i riflettori delle notizie su questo tema “hard” di alto scandalo c’è la figura del trentasettenne stilista di alta moda Alexander Wang. Lo stilista è originario taiwanese ma californiano di San Francisco, enfant prodige del settore, lanciato giovanissimo a seguito di un concorso su Vogue.
Considerato una vera stella nel suo settore, titolare di marchi e responsabile del brand Balenciaga fino al 2013, è stato accusato di aver molestato e palpeggiato diversi ragazzi.
E di aver addirittura messo a disposizione di ragazzi conosciuti, sia in discoteca che dopo gli after party , alcune bottigliette d’acqua «corrette» con sostanze psicotrope. Al fine di generare in loro uno stato confusionale tale da indurre le presunte vittime a compiere attività sessuali con lui.
Alexander Wang, la condanna virtuale senza processo reale
Il tutto sarebbe avvenuto tra il 2010 e il 2019. Ma detti fatti sono tutti da accertare in quanto, al momento, non risultano iscritti procedimenti penali a carico dello stilista perché evidentemente nessuno lo ha denunciato alle autorità giudiziarie.
E’ invece però accertato che, alcune settimane fa, lo scandalo sarebbe partito proprio dai social e poi amplificato dal tam-tam digitale.
Tale tam-tam sarebbe iniziato su TikTok da un suo modello. Quest’ultimo senza fare il suo nome lo ha genericamente indicato come un “noto designer” che nel 2017 lo aveva palpeggiato in un club.
A seguito ciò, molti amici noti e importanti di Alexander Wang lo stanno via via “defollwerizzando”, boicottando anche le sue linee di moda. Di fatto gli stanno infliggendo una gravissima condanna virtuale.
La condanna viene attuata con la moltiplicazione di “storie” su tutti i social che, con fonti anonime, attirano l’attenzione sul caso. Avviene così che si screditi in ogni caso la figura dello stilista, che senza essere imputato sta per essere condannato.
In pratica, siamo in presenza di un caso di giustizia virtuale che corre sul web senza un processo vero per accertare le responsabilità di questa persona.
La domanda finale è: ma se andremo avanti così, fino a quando serviranno ancora i tribunali?